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ISS COVID-19 OZONO

Sanificazione Rapporto ISS COVID-19
Trattamento mediante Ozono

Ambito normativo specifico

L’ozono generato in situ a partire da ossigeno è un principio attivo ad azione “biocida” in revisione ai sensi del BPR2 come disinfettante per le superfici (PT2 e PT4) e dell’acqua potabile (PT5) e per impiego nelle torri di raffreddamento degli impianti industriali (PT11). Sebbene la valutazione non sia stata completata, è disponibile un’ampia base di dati che ne conferma l’efficacia microbicida anche sui virus (20- 27).
In attesa dell’autorizzazione a livello europeo, la commercializzazione in Italia come PMC con un claim “disinfettante” non è consentita data l’impossibilità (generazione in situ – produzione fuori officina) di individuare un sito specifico da autorizzare come previsto dalla normativa nazionale. Pertanto, in questa fase, l’ozono può essere considerato un “sanitizzante”.
L’utilizzo dell’ozono è attualmente consentito a livello internazionale in campo alimentare, per i servizi igienico-sanitari di superficie e acque potabili (FDA, USDA, US-EPA, CNSA) (36,37,38,40).

Valutazione tecnico-scientifica

L’attività virucida dell’ozono si esplica rapidamente in seguito all’ozonizzazione (28-30). Come per molti altri prodotti usati nella disinfezione, non esistono informazioni specifiche sull’efficacia contro il SARS COV2. Al contrario sono stati effettuati diversi studi che ne supportano l’efficacia virucida (Norovirus) in ambienti sanitari e non (29). Anche a basse concentrazioni, con elevata umidità, l’ozono ha un’elevata azione disinfettante virucida nell’aria (30). L’International Ozone Association (www.iao-pag.org) conferma l’efficacia dell’ozono per l’inattivazione di molti virus anche se non è a conoscenza di ricerche specifiche su SARS-CoV-2. A livello industriale, l’ozono viene generato in situ mediante ozonizzatori, che devono essere adattati di volta in volta in relazione agli spazi (dimensioni, materiali coinvolti) e ai target (11,19,20,21,22,23,24,25). I generatori di ozono devono essere conformi alle direttive su bassa tensione (Direttiva 2014/35/CE), compatibilità elettromagnetica (Direttiva 2014/30/CE) e Direttiva 2011/65/CE (RoHS) sulla restrizione di sostanze pericolose. L’ozono è un gas instabile e decade spontaneamente a ossigeno (31,32,33). Il tempo necessario per il suo decadimento, dipendente da temperatura, umidità e contaminazione chimica e biologica, ed è sempre in funzione delle concentrazioni di utilizzo. In condizioni reali il tempo di decadimento naturale necessario per rendere accessibili i locali è di almeno 2 ore. Se possibile, è preferibile eseguire i trattamenti nelle ore notturne in modo che alla ripresa del lavoro la quantità di ozono ambientale si trovi entro i limiti di sicurezza sanitaria. Evitare di eliminare l’ozono residuo ricorrendo alla ventilazione forzata per convogliarlo in ambiente esterno: il DL.vo 155/2010 (67) fissa valori limite e obiettivi di qualità anche per le concentrazioni nell’aria ambiente di ozono. Sulla base della normativa CLP e REACH (34,35) i registranti hanno classificato, in regime di autoclassificazione, l’ozono come: sostanza che può provocare o aggravare un incendio; letale se inalata, provoca gravi ustioni cutanee e gravi lesioni oculari, provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta per via inalatoria, molto tossica per l’ambiente acquatico con effetti di lunga durata. Alcuni notificanti identificano l’ozono come sospetto mutageno. Le autorità competenti tedesche hanno manifestato nel 2016 a ECHA l’intenzione di proporre per l’ozono una classificazione ed etichettatura armonizzate anche come mutageno di categoria 2 e cancerogeno di categoria 21.
Il rischio ambientale, in seguito all’utilizzo di ozono per il trattamento delle superfici, appare al momento trascurabile, considerata l’elevata percentuale di ozono normalmente presente nell’atmosfera. In conformità alle norme HACCP2 e al DL.vo 81/2008 (41), in assenza di valori adottati nel quadro normativo Italiano, gli operatori devono rispettare i TLV –TWA dell’ACGIH3 di seguito riportati, in relazione a carico di lavoro e durata cumulativa dell’esposizione:

TLV – TWA (8 ore), 0,05 ppm (0,1 mg/m3 ), lavoro pesante;
TLV – TWA (8 ore), 0,08 ppm (0,16 mg/m3), lavoro moderato;
TLV – TWA (8 ore), 0,10 ppm (0,2 mg/m3), lavoro leggero;
TLV – TWA (≤ 2 ore), 0,2 ppm (0,39 mg/m3), frazioni di lavoro leggero, moderato o pesante.

Considerato che a concentrazioni inferiori a 2 ppm, l’ozono ha un odore caratteristico piacevole (42), che diventa pungente e irritante a livelli superiori, e che è riconoscibile già a concentrazioni molto ridotte (0,02 e 0,05 ppm), i soggetti potenzialmente esposti sono preavvertiti rispetto al raggiungimento di concentrazioni elevate e potenzialmente dannose per la salute. L’odore non costituisce, comunque, un indice attendibile della concentrazione presente nell’aria per fenomeni di assuefazione. Le Linee guida (43) dell’OMS per la qualità dell’aria outdoor (2005) raccomandano un limite giornaliero di 100 µg/m³ (ca. 0,05 ppm). Il National Institute for Occupational and Safety Health (NIOSH) indica per l’ozono un valore IDLH (concentrazione immediatamente pericolosa per la vita o per la salute) di 5 ppm (10 mg/m3 ) e livelli di concentrazione simili al valore IDLH o maggiori sono di fatto raggiunti nelle condizioni di utilizzo.
In generale, deve essere evitata la pratica di rientrare nelle aree trattate dopo un determinato periodo di tempo dalla fine dell’ozonizzazione. L’uso di ozono deve avvenire in ambienti non occupati e debitamente confinati. Per ridurre il rischio, possono essere predisposti dispositivi visivi in ogni punto di accesso degli ambienti in fase di trattamento e allo stesso modo possono essere predisposti segnalatori di libero accesso. Pertanto, prima di ricorrere all’utilizzo di tale sostanza per il trattamento di locali è necessario valutare il rischio di esposizione sia degli addetti alle operazioni di sanificazione sia del personale che fruisce dei locali sanificati. Gli operatori devono essere addestrati ed esperti e provvisti di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI). Alla luce di quanto sopra non è pertanto indicato per uso domestico.

1 Il Registro delle Intenzioni (RoI), gestito da ECHA è disponibile pubblicamente sul sito web dell’Agenzia contiene informazioni delle parti che intendono presentare all’Agenzia un fascicolo per l’armonizzazione della classificazione e dell’etichettatura (https://www.echa.europa.eu/it/web/guest/registry-of-clh-intentions-until-outcome/- /dislist/details/0b0236e180dfd06a)
2 HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) è un sistema che consente di applicare l’autocontrollo per garantire la sicurezza degli alimenti in tutte le fasi della catena alimentare
3 TLV – TWA (Threshold Limit Value – Time Weighted Average): Valore Limite per esposizioni prolungate nel tempo, detto anche Valore Limite ponderato. Rappresenta la concentrazione media, ponderata nel tempo, degli inquinanti presenti nell’aria degli ambienti di lavoro nell’arco dell’intero turno lavorativo ed indica il livello di esposizione al quale si presume che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, il lavoratore possa essere esposto 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana, per tutta la durata della vita lavorativa, senza risentire di effetti dannosi per la salute.

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ISS COVID-19 Ultravioletti

Sanificazione Rapporto ISS COVID-19
Trattamento mediante radiazione ultravioletta

Ambito normativo specifico

Dal punto di vista normativo, si fa presente che, poiché l’attività disinfettante della radiazione ultravioletta, si attua mediante un’azione di natura fisica, i sistemi di disinfezione basati su UV-C non ricadono nel campo di applicazione del BPR che esclude espressamente dalla definizione di biocida, i prodotti che agiscano mediante azione fisica e meccanica. Anche a livello nazionale non rientrano, secondo il DPR 6 ottobre 1998, n. 392 sui PMC, i prodotti la cui attività disinfettante operi mediante azione fisica o meccanica.

Valutazione tecnico – scientifica

Tipicamente, le lampade germicida utilizzate in sistemi di sterilizzazione hanno emissione dominante intorno alla lunghezza d’onda di 253 nm (nanometri). Vengono in genere filtrate le componenti con lunghezza d’onda inferiore a 250 nm, per prevenire il rischio di produzione di Ozono. In questi casi la lampada è definita “ozone free”. Qualora le componenti UV di lunghezza d’onda inferiore a 250 nm non siano schermate dovranno essere messe in atto anche le procedure di sicurezza per prevenire l’esposizione ad Ozono, indicate al paragrafo “Trattamento con Ozono”. La radiazione UV-C ha la capacità di modificare il DNA o l’RNA dei microorganismi impedendo loro di riprodursi e quindi di essere dannosi. Per tale motivo viene utilizzata in diverse applicazioni, quali la disinfezione di alimenti, acqua e aria.

Studi in vitro hanno dimostrato chiaramente che la luce UV-C

è in grado di inattivare il 99,99% del virus dell’influenza in aerosol (44, 45). L’azione virucida e battericida, dei raggi UV-C è stata dimostrata in studi sul virus MHV-A59, un analogo murino di MERS-CoV e SARS-CoV1. L’applicazione a goccioline (droplet) contenenti MERS-CoV ha comportato livelli non rilevabili del virus MERS-CoV dopo soli 5 minuti di esposizione all’emettitore UV-C (una riduzione percentuale superiore al 99,99%) (46) e sono risultati efficaci anche nella sterilizzazione di campioni di sangue (47). In particolare è stata dimostrata l’inattivazione di oltre il 95% del virus dell’influenza H1N1 aerosolizzato mediante un nebulizzatore in grado di produrre goccioline di aerosol di dimensioni simili a quelle generate dalla tosse e dalla respirazione umane. Lo studio di Bedell et al. (46) descrive gli esperimenti riguardanti gli studi di efficacia di un metodo di disinfezione delle superfici rapido, efficiente ed automatizzato basato sulle radiazioni UV-C, potenzialmente in grado di prevenire la diffusione dei virus nelle strutture sanitarie. Gli emettitori di radiazioni UV-C che possono avere funzione di pulizia, igienizzazione o disinfezione, hanno dimostrato che la potenza della luce UV-C e il tempo in cui le superfici sono esposte a questa luce variavano considerevolmente tra i prodotti di pulizia UV-C commercializzati ed in base al design del prodotto. Se le superfici sono esposte a una radiazione UV non sufficientemente intensa, ciò potrebbe comportare una disinfezione inadeguata e conseguenti problemi di sicurezza e prestazioni (44). La radiazione UV-C può essere utilizzata in sicurezza in sistemi chiusi per disinfettare le superfici o gli oggetti in un ambiente chiuso in cui la luce UV non fuoriesce all’esterno. Basta, infatti, un contenitore di plexiglass o di vetro per schermare efficacemente la radiazione UV-C. Viceversa, i sistemi tradizionali con lampade UV-C installate a parete o a soffitto che generano luce UVC in assenza di protezione dell’utente dall’esposizione, rappresentano un potenziale pericolo in funzione della lunghezza d’onda, dell’intensità e della durata di esposizione (48), in considerazione del fatto che la radiazione UV-C di per sé non può essere percepita dall’essere umano in quanto non da alcuna sensazione termica e non è visibile (49,50). Infatti,  le radiazioni UV-C nell’intervallo 180 nm 280 nm sono in grado di produrre gravi danni ad occhi e cute. Inoltre la radiazione UV-C è un cancerogeno certo per l’uomo per tumori oculari e cutanei (Gruppo 1 A IARC) (48).

In relazione alla sicurezza dei lavoratori,

l’impiego di tali sistemi è disciplinato dal DL.vo 81/2008 Titolo VIII Capo V che prescrive l’obbligo di valutazione del rischio per le sorgenti di radiazioni ottiche artificiali e fissa specifici valori limite di esposizione per la prevenzione degli effetti avversi su occhi e cute derivanti da esposizione ad UV, espressamente indicati nel testo di legge e riportati in Tabella 3, recependo la Direttiva Europea 2006/25/UE Radiazioni Ottiche Artificiali.


Tabella 3. Effetti dell’esposizione a UV-C su occhi e cute (oggetto delle misure preventive previste dal DL.vo 81/2008 Titolo VIII Capo V)

Regione spettrale Ultravioletto C = 180-280 nm
Occhio = Foto cheratite Foto congiuntivite
Pelle     = Eritema (scottatura della pelle), Tumori cutanei, Processo accelerato di invecchiamento della pelle.

I valori limite, fissati dalla vigente normativa, in relazione all’impiego di lampade germicida con emissione UV-C 180-250 nm sono stati recentemente confermati dallo SCHEER (Comitato scientifico per la sicurezza dei consumatori). L’esposizione accidentale agli UV-C generati da lampade germicide in tale intervallo di lunghezze d’onda è in grado causare gravi danni eritemali, ustioni e gravi forme di fotocheratiti e fotocongiuntiviti a soggetti inconsapevolmente espositi anche per brevi periodi (SCHEER – Health effects of UVC lamps 2017) (51).
Pertanto, per prevenire danni da esposizioni accidentali delle persone, è indispensabile che la lampada sia accesa solo se è esclusa la presenza di persone nell’area d’irraggiamento. L’entità del rischio va considerata in relazione alla distanza di osservazione e all’intensità di emissione della sorgente. Un documento pubblicato sul Portale Agenti Fisici (PAF) (52) presenta le procedure operative per la prevenzione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali, in ambito sanitario, di laboratorio e di ricerca, focalizzandosi sull’emissione di radiazione UV da lampade germicide.

Il Capo V del Titolo VIII del DL.vo 81/2008, è finalizzato a prevenire i rischi per la salute e sicurezza che possono derivare dall’esposizione alle radiazioni ottiche artificiali o al loro impiego negli ambienti di lavoro con particolare riferimento agli effetti nocivi a carico di occhi e cute. Negli ospedali e nei laboratori di analisi dove vengono sistematicamente utilizzate questo tipo di sorgenti, per prevenire danni da esposizioni inconsapevoli delle persone, il personale addetto deve essere adeguatamente formato, gli ambienti dove sono attive lampade germicida devono essere segnalati con opportune avvertenze di pericolo; tutte le entrate devono essere collegate a sistemi automatici che in caso di apertura involontaria, spengono le sorgenti al fine di evitare qualsiasi esposizione accidentale, anche momentanea, alla radiazione UV-C. Studi recenti, presenti in letteratura, hanno evidenziato che le lunghezze d’onda della regione del lontano UV-C (comprese tra 200 nm e 222 nm) sono in grado di inattivare efficacemente patogeni batterici e virali senza provocare, al contempo, citotossicità o mutagenicità alle cellule umane (53). L’assenza di danno per le cellule umane si basa sul principio biofisico secondo cui la luce del lontano UV-C ha un basso coefficiente di penetrazione. Pertanto, è in grado di penetrare e inattivare batteri e virus, che hanno una dimensione pari o inferiore a 1 μm, ma non (o solo parzialmente) cellule di mammifero (circa 10 – 25 μm di diametro) o i tessuti con strato corneo. Un recentissimo studio condotto dal centro di ricerca “Columbia University Center for Radiological Research” (CCR) pone nuovamente l’accento sull’efficacia dell’irraggiamento tramite UVC. Il CCR sta lavorando su un progetto dal titolo “Limiting the spread of novel coronavirus (and other viruses, too) using the power of light” (54) che utilizza una tecnologia con irraggiamento con luce a lunghezza d’onda di circa 220 nm per valutare la possibilità di uccidere i virus prima che possano essere inalati. Lo studio citato indica come “sicura per la salute umana” tale applicazione mentre, come indicato, tutto l’UV-C è in grado di danneggiare le cellule umane e produrre fotocheratiti/fotocongiuntiviti, danno eritemale, ecc.

In un altro studio (55) è emerso che la lampada ad eccimeri filtrata Kr-Cl con luce a 222 nm è in grado di uccidere in vitro cellule di Staphylococcus aureus meticillino-resistente, una delle principali cause di infezioni comunitarie e nosocomiali, in modo quasi altrettanto efficiente di una lampada UV germicida convenzionale a 254 nm con la differenza che quest’ultima è quasi altrettanto efficace nel causare danno alle cellule umane. È stato inoltre dimostrato (55) che basse dosi di radiazioni UV-C sono efficaci contro i virus trasportati dagli aerosol.
Alla luce dei risultati riportati, pur essendo necessarie ulteriori evidenze sull’efficacia valutata “su campo”, la metodologia basata sulle radiazioni del lontano UV-C potrebbe diventare uno standard per la disinfezione degli ambienti ospedalieri al fine di ridurre i tassi di infezione, in particolare quelli dovuti ad agenti patogeni e ai virus.
L’impiego delle radiazioni del lontano UV-C non richiederebbe l’utilizzo di DPI per pazienti o personale medico. In particolare, potrebbe essere indicato per la disinfezione di superfici e di qualsiasi ambiente con un’alta probabilità di trasmissione di agenti patogeni per via aere, mettendo in atto le opportune misure di sicurezza precedentemente indicate. In relazione all’efficacia dell’azione germicida ed alla capacità di sterilizzare l’ambiente o le superfici, è indispensabile tenere presente che la presenza di polvere e sporcizia sia sulla lampada che nell’ambiente o sulla superficie riduce drasticamente l’azione germicida. Pertanto la lampada germicida dovrebbe essere accesa solo dopo un’accurata pulizia dei locali in assenza di persone, ed essere regolarmente pulita secondo le modalità indicate dal costruttore. In genere l’emissione UV delle lampade e di conseguenza l’efficacia germicida decresce con il tempo di impiego della lampada, che andrà tenuto rigorosamente sotto controllo, seguendo e istruzioni fornite dal costruttore. La manutenzione di tali apparati è estremamente importante ai fini dell’efficacia e della sicurezza. In caso di rottura della lampada germicida a mercurio è necessario ventilare l’ambiente ed evitare qualsiasi contaminazione per contatto ed inalazione del vapore del mercurio contenuto nella lampada, che è altamente tossico. Dovrà essere predisposta una procedura di rimozione in sicurezza dei frammenti della lampada, secondo quanto indicato nel manuale di istruzioni fornito dal costruttore. Infine, è importante tenere presente che la lampada dismessa o rotta va trattata come rifiuto speciale a causa della presenza di mercurio che è altamente tossico per l’uomo e per l’ambiente. Andranno  adottate le procedure di smaltimento indicate dal costruttore

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Rapporto di Prova-Sanificazione Effettuata-Diffusione Aerea-Nebbia Secca-Perossido Azoto-Validazione Risultato

Rapporto di Sanificazione H2O2

Il sistema di Disinfezione Aerea delle Supercifi proposto dalla Fratelli Galli, attraverso l’erogazione programmata automatica, permette di diffondere una Nebbia Secca composta da gocce micrometriche che, per moto convettivo dell’aria, si mettono in movimento e, saturando l’ambiente riescono a raggiungere i posti difficilmente raggiungibili con sistemi manuali.
Dopo il periodo di diffusione, che dipende dal volume trattato e dalla concetrazione di H2O2 impostata, si lascia agire la nebbia perchè avvenga la sanificazione, cioè la distruzione o l’inattivazione dei micro organismi indesiderati quali Funghi, Spore, Batteri, Muffe, Virus. Finito il trattamento non rimangono tracce del Perossido di Idrogeno perchè si sarà trasformato in Ossigeno e in Vapore Acqueo. Non sarà nemmeno necessario passare lo straccio in quanto non vi sono residui. Infatti la particolare formulazione del prodotto H2O2 che la Fratelli Galli offre è particolarmente pura e stabilizzata senza l’inserimento di additivi, per questo motivo è adatto dove vi sono oggetti che andranno a contatto con alimenti. Il nostro Perossido non è corrosivo e può essere impiegato anche in luoghi con computers ed elettronica.

Il trattamento può essere registrato e tramite un Tablet con una specifica Applicazione (Options) è possibile generare un Rapporto, un Report di avvenuto trattamento con indicati dutti quei dati indispensabili ad identificare e rendere unico il documento. Il Report viene comodamente reso in formato PDF in modo che sia subito condivisibile con i soggetti interessati.